martedì 28 aprile 2009

Il sonno dei bambini.

Dovete sapere che, un tempo, il sonno non era come quello dei bambini di adesso. Infatti i bimbi dormivano solo dieci minuti così potevano giocare, studiare, aiutare la mamma nelle faccende domestiche e il papà nel proprio lavoro. Tutti erano convinti che così era molto meglio rispetto a dormire tante ore, infatti si riuscivano a costruire tanti palazzi, tante strade, tante macchine, tante cose... però qualcuno si domandava che cosa farsene di tutte quelle cose.

Un giorno accadde una cosa strana. Tonino, dopo aver trascorso una giornata intensa e faticosa come tutte, andò a dormire per svegliarsi dopo circa dieci minuti. Al contrario di come succedeva tutte le volte che si addormentava, questa volta Tonino sognò. Fece un sogno molto corto, si capisce, ma abbastanza lungo da interessarlo molto. Tonino non diede molta importanza all'accaduto ma tutte le cose che fece il giorno dopo, gli riuscirono meglio del solito. Per esempio, quando la maestra chiese alla classe di scrivere un racconto, a Tonino vennero in mente un sacco di idee fantastiche e il racconto gli riuscì molto bene e ricco di fantasia.
La notte successiva fece un altro sogno e si svegliò più tardi e la notte dopo ancora più tardi, fino a quando Tonino cominciò a dormire più o meno quanto dormono i bambini di oggi e, soprattutto, a sognare come fanno i bambini di oggi.

Tutti si resero conto che Tonino riusciva ad essere molto più creativo e fantasioso e intelligente degli altri. Così tutti incominciarono ad interessarsi a lui e a chiedergli qual'era il suo segreto. A tutti, Tonino rispondeva che dormiva tanto e sognava molto. Sogni belli e sogni brutti, ma comunque sogni che gli consentivano di immaginare cose che nella realtà di tutti i giorni non riusciva ad immaginare.

Tutti vollero provare a dormire di più e a sognare di più, così si costruirono meno case, meno strade, meno macchine, ma dato che c'era molta più gente che dormiva rispetto a prima, quello che si costruiva durante il giorno bastava a tutti e tutti erano contenti. Tonino e molti altri bambini come lui, fecero tanti sogni e diventarono pittori, poeti, scrittori, artisti ma cosa più importante di tutte, il mondo si popolò di semplici sognatori.

domenica 26 aprile 2009

La festa

C'era una volta una festa che, nel regno del popolo del Grigio Umore, cadeva sempre il 4 agosto. Tutto l'anno gli abitanti di Grigio Umore, lavoravano, andavano a scuola ed erano sempre tristi e sconsolati: di pessimo umore, tranne il 4 agosto. Infatti quel giorno, il re di Grigio Umore, aveva indetto una festa per sollevare un po' l'umore d tutti i suoi sudditi. Così quel giorno, non succedeva niente di particolare ma tutti gli abitanti erano contenti, sorridenti, qualsiasi cosa facessero.

Proprio il 4 agosto, arrivò uno straniero, molto vecchio e saggio che si rallegrò di essere capitato in un paese così allegro e spensierato. Ma quando arrivò il nuovo giorno, si rese conto di essersi sbagliato perché erano tutti tristi e scontenti. Si fece spiegare dalle persone che incontrava per quale motivo erano così tristi quel giorno e così allegri quello precedente e glielo spiegarono in un modo un po' scostante e svogliato. Lo straniero capì che tutto l'anno quella gente era sempre così triste e di pessimo umore. Decise allora di fare qualche cosa per loro.

Chiese di poter parlare con il Re perchè aveva avuto un'idea per migliorare la vita nel suo regno. Il Re, scontroso e infastidito da questa richiesta decise di riceverlo. Così il vecchio straniero si presentò al cospetto del Re e disse: "Sire, ho avuto un'idea che potrebbe cambiare la qualità della vita di Vostra Maestà e di tutti i suoi sudditi". Dite, vecchio straniero, velocemente che non ho tempo da perdere con queste faccende. Il vecchio disse: "Vi propongo, Vostra Signoria, di cambiare la legge che fa in modo che il 4 agosto sia festa". "Ma come? E' l'unico giorno in cui il popolo è allegro! ", "appunto per questo, Sire", continuò il vecchio, "è sufficiente fare una legge che preveda che tutto l'anno sia festa e solo il 4 agosto si possa essere tristi".
Il Re ci pensò a lungo e poi disse: "che idea del cavolo! buttate fuori dalla reggia questo vecchio matto." e stava per andare via quando il vecchio gli propose di nuovo: "Sire, perchè non ci provate, se non funzionasse si può sempre tornare alla normalità". Il Re ci pensò un attimo e disse: "Va bene, tanto non mi costa niente. Decreto che da questo momento ogni giorno è festa, tranne il 4 agosto". Da quel momento il Re cominciò a rivalutare l'idea dello straniero e gli cominciò a sembrare sempre più una magnifica idea. Gli stava tornando, infatti, il buon umore.

Così capitò a tutti gli abitanti del regno che iniziarono a vivere ogni giorno, come il 4 agosto: una festa. Ogni cosa che facevano anche la più semplice, la vivevano come se fosse unica e irripetibile come fosse, appunto motivo per festeggiare. Da quel giorno il popolo del regno del Grigio Umore cambiò anche nome e si chiamò: regno delle felicità.

Scritta partendo dalla parola: "festa" suggerita da Pietro C.

giovedì 23 aprile 2009

Il ragno fifone.

C'era una volta un ragno che aveva paura di tutto e di tutti. Infatti rispetto ai ragni comuni, lui era un ragno pauroso. Tesseva la ragnatela per intrappolare gli insetti ma quando un insetto cadeva intrappolato nella sua tela, lui si spaventava a morte.

Un giorno un bambino un po' dispettoso, decise di fare uno scherzo ad una sua compagna di classe. Lui faceva sempre scherzi ai suo compagni e specialmente a quella bambina. Così riuscì a catturare un ragno e decise di buttarlo sul quaderno sul quale la bimba stava scrivendo il dettato. La bimba vedendo quel ragno sul foglio bianco cacciò un urlo e stava per mettersi a piangere ma si rese conto quasi subito che anche il ragno stava urlando, letteralmente terrorizzato. Sì, era proprio il ragno pauroso che sul foglio bianco guardava la bimba ed era molto più spaventato di lei. A quel punto la bimba guardò bene il ragnetto e invece di piangere, lo prese in mano e lo accarezzò per tranquillizzarlo. Il ragnetto si calmò velocemente perché capì che la bimba non aveva nessuna intenzione di fargli male.

La maestra che aveva visto che cosa era successo, scrisse un nota per i genitori sul diario del bambino dispettoso e fece i complimenti alla bimba che aveva dimostrato coraggio e nervi saldi. La bimba, invece, era contenta semplicemente perché aveva un piccolo e pauroso amichetto.

lunedì 20 aprile 2009

Astor


C'era una volta una palla da bowling diversa da qualsiasi altra. Infatti era la palla da bowling del gigante Abram, che abitava sul monte Astor, il monte più alto del mondo dei giganti. In quel mondo tutti quanti erano grandi, anzi enormi. Tutti, anche i bambini piccoli erano grandi come dei palazzi di dieci piani. Le mamme e i papà erano alti come grattacieli. In questo mondo tutto era così grande che uno bimbo normale sarebbe stato piccolo come una formichina.

Al gigante Abram piaceva molto giocare a bowling, per questo aveva deciso di costruirne uno dentro al proprio castello. Un giorno che si sentiva particolarmente in forma, Abram si preparò a fare uno dei suoi tiri migliori. Si avvicinò alla sua palla da bowling preferita, la pulì con uno straccio e infilò le tre dita della sua enorme mano destra, nei tre buchi che ogni palla da bowling ha.  Poi con molta calma e mantenendo la concentrazione sui birilli in fondo alla pista di legno, si portò la mano destra con la palla sotto al mento, aiutandosi con la mano sinistra. Era pronto a iniziare una piccola rincorsa per lanciare la boccia sulla pista, verso i birilli.

Enrichetto, invece era un bambino normalissimo che viveva con i il suo papà e la sua mamma, in una casetta vicino a Vercelli, non tanto distante da Torino. La famiglia di Enrichetto, coltivava il riso e un giorno mentre la mamma e il papà erano nelle risaie a lavorare, Enrichetto trovò nella soffitta del nonno un vecchio e impolverato libro con uno strano stemma sulla copertina. Lo stemma rappresentava una montagna enorme con un castello sulla cima. Il bimbo aprì il libro e lesse alcune parole, a fatica perché non sapeva ancora leggere molto velocemente. Le parole dicevano così: "Se credi che i sogni si possano avverare, pronuncia il nome di Astor e preparati a volare. Se la fortuna ti aiuta e sai aiutarla, c'è una persona che ti aspetta, torna ad abbracciarla".
Enrichetto richiuse il libro e tornò nella sua cameretta pensando a quelle parole che aveva letto e gli venne in mente un sogno che aveva fatto la notte prima: aveva sognato un mondo di fate, di cavalieri e di... giganti. Fu proprio mentre ricordava quel sogno che pronunciò la parola che aveva letto: Astor!. Per un attimo non vide più niente e poi un vento fortissimo sulla faccia gli impediva quasi di aprire gli occhi. Quando riuscì ad aprirli, si rese conto che stava volando velocissimo in cielo, superò le nuvole e sempre più veloce si avvicinò ad una montagna che era proprio quella disegnata sulla copertina del libro, Il monte Astor con in cima il castello del gigante Abram. Era tutto enorme, compresa la finestra del castello da dove, velocissimo, ci passò attraverso volando, per atterrare su una specie di pista fatta di legno... Sì, era proprio la pista di bowling del gigante Abram. Lui, enorme, con una boccia altrettanto enorme appoggiata sotto al mento, stava facendo un passetto e un'altro più lungo, abbinato ad un gesto molto elegante, considerando che per Enrichetto era come vedere muovere la statua della Libertà piuttosto che la mole Antonelliana. Abram, allungandosi verso la pista, lasciò cadere la boccia che cominciò a rotolare con un effetto molto particolare, capace di imprimere alla boccia una traiettoria che subito sembrava portare la palla nera verso il corridoio a lato della pista, per poi cambiare direzione e puntare verso... Enrichetto!

Il bimbo vide una enorme palla nera, grande come un palazzo, rotolare verso di lui. Che paura! Enrichetto cominciò a correre più veloce che poteva verso delle costruzioni enormi bianche che guardandole bene... erano i birilli del bowling! A quel punto si rese conto che non sarebbe mai riuscito a correre più veloce dell'enorme palla nera. Così decise di fermarsi e osservare la palla. Vide tre buchi che comparivano e scomparivano sulla superficie della boccia rotolante. Erano i buchi dove si mettono le dita ma in questo caso erano grandi come delle grotte. Enrichetto, osservando uno dei tre buchi che compariva e scompariva dritto verso di lui, decise di andare incontro all'enorme palla. Proprio quando la palla stava arrivando sopra di lui come un pallone da calcio su una formichina, Enrichetto si accucciò e la boccia di Abram gli passò proprio sulla testa e per qualche istante si trovò dentro ad una grotta: il buco per il pollicione del gigante Abram. Che Fortuna! ma anche che coraggio Enrichetto! Fu proprio in quel momento che le parole scritte nel libro ebbero un senso: " ...Se la fortuna ti aiuta e sai aiutarla, c'è una persona che ti aspetta, torna ad abbracciarla."

Enrichetto si trovò a volare più veloce di prima, sembrava un aereo, anzi un missile. Riuscì a riaprire gli occhi proprio mentre sentiva la voce della mamma: "Enrichetto, muoviti! E' pronta la cena" L'immagine che vide, fu proprio la mamma che si stava girando verso il tavolo in cucina e lui che atterrava proprio lì: in mezzo alle tette della mamma.

"Bravo Enrichetto! hai proprio fame per essere arrivato così veloce". La mamma lo abbracciò forte, dandogli un bacione sulla fronte, e mentre Enrichetto si godeva le coccole della mamma, gli sembrò di sentire un vocione che arrivava da lontano lontano e che urlava: "Strike!"


Scritto nel 2009 partendo dalla parola: "palla da bowling".

domenica 19 aprile 2009

La sedia scoreggiona.


C'era una volta una sedia appoggiata alla parete in fondo ad un lungo salone pieno di quadri di un grande museo d'arte. 
Il salone era davvero enorme, i quadri tantissimi , le persone camminavano , sostavano un po' davanti alle opere appese , camminavano ancora , si fermavano a guardare un quadro e poi un altro , e così via , e rimanendo sempre in piedi per tanto tempo arrivavano al fondo e trovavano lì, tranquilla ad aspettare , l'unica sedia di tutta la sala.
Chi era stanco , i vecchietti , i grassotelli , qualcuno che zoppicava , qualcun'altro che aveva caldo e voleva sventolarsi seduto in santa pace , in tanti si ritrovavano ad aspettare il momento buono per sedersi un poco a riposare. Ma non appena uno di questi riusciva ad appoggiare le chiappe sul soffice cuscino della nostra sedia , subito si sentiva un rumore inconfondibile , una gran pernacchia , e tutti guardavano lo sfortunato pensando : " che maleducato ! " , oppure altri si mettevano a ridere indicandolo , facendolo diventare tutto rosso e costringendolo a scappar via pieno di vergogna. E la sedia se la rideva , pensando di aver trovato un ottimo sistema per ingannare il tempo e divertirsi alle spalle di tutti quei tipi che continuamente appoggiavano il sedere sopra di lei.
Ma come si sa le persone parlano tra loro , le cose si vengono a sapere piuttosto in fretta , e così in breve tempo nessuno si sedeva più , anche se stanchi tutti davano un'occhiata alla sedia vuota e proseguivano oltre.
Passò del tempo , la sedia rimaneva sempre vuota e sempre più triste , finchè un giorno , una vecchina che camminava a fatica poggiandosi a un bastone , pur sapendo la storia della sedia si sentì così stanca che pensò : " pazienza, farò una brutta figura , la gente riderà di me ma debbo proprio sedermi a riposare " e piano piano si sedette. La sedia fu così sorpresa , emozionata di sentire di nuovo un peso su di se che accolse con gioia la vecchina , dimenticandosi di fare il solito scherzo della pernacchia.
E da quella volta non fece più pernacchie a nessuno e anzi , ogni volta che qualcuno si sedeva sembrava quasi facesse un sorriso , contenta di aver ricominciato a fare il proprio utile lavoro.


Scritto in aprile 2009 da Paolo Corona dalla parola: "sedia".

sabato 18 aprile 2009

Il piatto

C'era una volta una piatto vuoto, solo nella cucina di una famiglia povera, povera. La famiglia era composta dal papà alto e magro perché aveva poco da mangiare e quel poco lo donava a sua moglie Ada e ai suoi figli: Ugone (il più grande), Ugo (il medio), Ughetto che, se ricordo bene, era il più piccolo.

La mamma che era generosa quanto il papà, lasciava quasi tutta la sua porzione di cibo ai suoi figli. Ugone che era grande e responsabile, seguiva l'esempio del papà e della mamma e quindi lasciava quasi tutta la sua porzione di cibo al fratello Ugo. Ugo che faceva tutto quello che faceva il fratello maggiore, lasciava quasi tutte le porzioni di cibo al fratellino piccolo. Ughetto, invece, che era capriccioso e viziato, piangeva sempre perché voleva mangiare cose più buone. Così nella cucina della famiglia povera, c'era un solo piatto perché non ne servivano di più.


Un giorno il folletto dei bambini capricciosi, sentendo i pianti di Ughetto, decise di fare uno scherzetto al bimbo. Decise di fare una magia alla cucina della famiglia e in particolare all'unico piatto. Così a pranzo, quando la mamma preparò la pasta con un solo pomodoro, la mise nel piatto e lo porse al papà che come al solito, ne prese una sola forchettata e la passò alla mamma. In quel momento successe una cosa strana: la pasta nel piatto non diminuì anche dopo che la mamma ne prese un forchettata. Il piatto venne passato anche a Ugone e anche a lui successe la stessa cosa: la pasta nel piatto non diminuì dopo aver preso il proprio boccone. Ugo vide che anche per lui la pasta nel piatto rimaneva la stessa quantità. Solo quando il piatto fu passato a Ughetto, appena avvicinò la propria forchetta, la pasta scomparve tutta. Ughetto cominciò a piangere come al solito e il papà incredulo, prese il piatto per capire che fine aveva fatto la pasta che, in quel momento, ricomparve. Così per capire se la pasta era ancora buona, il papà ne prese un'altra forchettata e la pasta rimase la stessa quantità. Passò il piatto alla mamma e ricominciò quella strana magia che manteneva la stessa quantità di pasta nel piatto nonostante che il papà, la mamma, Ugone e Ugo ne mangiassero in continuazione. La magia funzionava al contrario solo per Ughetto che tutte le volte che si avvicinava al piatto, scompariva la pasta. Tutta la famiglia mangiò fino a riempirsi la pancia tranne Ughetto che continuava a piangere e a fare capricci.

La sera a cena, la magia si ripeté con la zuppa e così via per i giorni a seguire. Un bel giorno, Ughetto stanco e affamato vedendo che i suoi fratelli, la mamma e il papà diventavano sempre più grassottelli e in salute, si rallegrò per loro e una sera fece una cosa che non aveva mai fatto prima. Infatti quando il piatto fu passato a lui disse che preferiva che mangiasse il suo papà che era ancora un po' magrolino. In quell'istante la zuppa si trasformò in un arrosto buono e succulento che per tanto tempo il papà aveva desiderato di mangiare. Il piatto fu passato alla mamma che si gustò una piatto di ravioli alle erbette che da tanto tempo aveva voglia di mangiare e così comparse una pizza per Ugone e una pasta con il pesto per Ugo. Quando il piatto fu posato davanti a Ughetto tutti rimasero fermi e zitti e un po'  preoccupati, aspettandosi che nel piatto non comparisse nulla. Invece con una esplosione di luce, comparse ogni tipo di dolce e leccornia, qualsiasi cosa che Ughetto aveva desiderato in passato e, vi assicuro, c'erano tante, tante cose buone da mangiare. Ughetto, però, mangiò solo alcune di quelle cose e il resto le passò ai suo fratelli.

Da quel giorno nessun componente della famiglia patì la fame e tutti vissero felici e contenti.


Scritta nell'aprile del 2009 iniziando dalla parola: "piatto".

martedì 14 aprile 2009

La stella più brillante

C'era una volta una stella che brillava più di tutte, nasceva prima delle altre ed era la più bella. Tutte le altre stelle, invidiose, un giorno cominciarono a protestare e una dopo l'altra andarono dal sole a raccontargli che c'era una stella che voleva essere sempre lei al centro dell'attenzione e toglieva importanza alle altre sorelle. Il sole, paziente diceva loro che non era così importante che una stella fosse più brillante delle altre, lui stesso era una stella di gran lunga più brillante e splendente delle altre stelle ma nessuna è mai stata invidiosa di lui.



Le stelle non erano soddisfatte e un giorno decisero di non brillare più lasciando la stella più brillante da sola. Così la nostra stella che in realtà non era affatto presuntuosa o vanitosa andò dal sole e raccontò che cosa era successo. Il sole sempre paziente ascoltò e alla fine del racconto chiese alla stella il suo nome. Lei rispose: "Mi chiamo Venere". Il Sole allora cominciò a ridere e disse a Venere di non preoccuparsi che sicuramente le stelle sarebbero tornate a brillare. Così chiamò tutte le stelle che avevano deciso di non brillare più e disse loro che erano state stupide perché credevano che una stella brillasse più di loro ma in realtà non era una stella ma un pianeta: "Venere".
Da quel momento le stelle ripresero a brillare e chiesero scusa a Venere che continuò a farsi vedere vicino all'orizzonte, di sera per lasciare poi spazio a tutte le stelle fino a riempire il cielo per tutta la notte fino al mattino.


Scritto nel 2009 dalla parola: "stella".